Nel volgere degli ultimi giorni che precedettero lo scoppio della Grande Guerra (1914-1918), mentre l’Europa, gravida di una modernità autoreferenziale e inebriata di progresso prometeico, avanzava verso l’autodistruzione, il grande Papa san Pio X, con l’Esortazione “Dum Europa” del 02 agosto 1914, levava una voce non semplicemente pastorale o diplomatica, ma ontologicamente fondata, teologicamente gravata di un pathos escatologico, metafisicamente lucida. In quel breve ma densissimo testo, la pace non è invocata come progetto, bensì come esigenza costitutiva dell’essere, come ordine inscritto nella struttura della realtà creata e come partecipazione alla pax ordinata che ha in Dio stesso la sua archetipica origine.
La guerra, dunque, non è solo il contrario empirico della pace, ma l’esito storico di una sovversione teoretica e morale, una rottura ontologica, un sintomo dello smarrimento dell’ordine naturale e soprannaturale che per secoli aveva costituito la grammatica invisibile della civiltà europea. Nel magistero di Papa Sarto e in particolare nella “Dum Europa”, è presente un’implicita ma ferrea metafisica dell’ordine, che si oppone frontalmente all’epistemologia fluida e alla prassi disancorata della modernità.
Il Pontefice non si rivolge al mondo in quanto somma di Stati o sistema di potenze, ma in quanto struttura della creazione divinamente ordinata, chiamata a partecipare all’armonia della sapienza eterna. Per questo, la guerra che incombe non è per lui un accidente storico da evitare con accorte trattative, quanto la rivelazione di un’infedeltà radicale alla verità dell’essere. La pace, nella sua accezione tomistica, è “tranquillitas ordinis” non solo nella polis, ma nell’interiorità dell’uomo e nella relazione fra mondo e Dio. La “Dum Europa” si fa così grido profetico che denuncia la frattura tra la realtà e la sua intelligibilità, tra l’essere e il dover essere, tra il diritto e la giustizia.
L’Europa, che nel Medioevo cristiano era stata pensata come “corpus mysticum” delle gentes unite dalla fede e dalla legge naturale, si trova all’alba del XX secolo profondamente disgregata da una rivoluzione teorica di portata metafisica. L’umanesimo immanentista, lo scientismo positivista, l’idealismo soggettivista e il volontarismo politico hanno lentamente eroso l’intelligenza dell’ordine, sostituendo la visione della realtà come partecipazione a un bene oggettivo e trascendente con una visione performativa e arbitraria del vivere associato. In questo contesto, la guerra appare a san Pio X come il frutto necessario, e dunque tragicamente giusto, di una volontà collettiva che ha scelto l’autonomia come criterio ultimo dell’agire.
La “Dum Europa”, in tal senso, non è una semplice esortazione morale, bensì una diagnosi teologica della storia moderna nella sua interezza, una lettura metafisica del declino della civiltà europea in quanto decadenza dell’intelletto, della volontà e della legge. Il rifiuto dell’ordine naturale, che trova nella cultura moderna il suo cuore propulsore, è per il successore di Leone XIII il principio primo della dissoluzione non solo della religione, ma della stessa possibilità di convivenza umana. La pace non è, infatti, un prodotto della volontà: è un bene originario da custodire mediante la conformazione dell’agire umano alla verità dell’essere.
La guerra, dunque, non è solo un’ingiustizia fra le altre, ma il segno che l’uomo ha voluto sostituirsi a Dio come legislatore dell’universo. La “Dum Europa” fa, in questo modo, emergere la radice teologica della crisi: là dove il creato non è più inteso come dono e come ordine, bensì come materia da plasmare a piacere, là la pace diviene impossibile. Perché solo dove c’è verità, c’è giustizia, e solo dove c’è giustizia può esservi pace. La modernità, invece, negando la verità oggettiva dell’ordine naturale e della legge divina, ha precluso le condizioni stesse della pace, sostituendola con un equilibrio precario di forze, con una coesistenza costruita sull’indifferenza e sull’autoregolazione.
San Pio X, nella sua profonda comprensione della storia come ambito della rivelazione e del giudizio divino, scorge nel turbine della guerra non semplicemente una sconfitta della diplomazia, quanto piuttosto una manifestazione della giustizia divina che consente all’uomo di sperimentare le conseguenze del proprio peccato collettivo. In questa prospettiva, l’Esortazione si configura come una parola profetica pronunciata “sub specie aeternitatis”, un invito non solo alla cessazione delle ostilità, ma a un radicale ritorno all’ordine dell’essere, a una metanoia della cultura e della politica, alla reintegrazione della vita sociale e personale nell’orizzonte teologico della creazione e della redenzione.
Oggi, in un’epoca in cui l’Europa è nuovamente attraversata da tensioni belliche, da crisi antropologiche e spirituali e da una disgregazione identitaria radicale, la “Dum Europa” appare non solo attuale, ma urgentemente necessaria. L’invocazione alla pace da parte delle istituzioni contemporanee resta priva di fondamento, se non si accompagna a una rifondazione ontologica della convivenza civile. Non vi può essere autentica pace se non c’è riconoscimento di una verità comune, di un ordine giusto, di una finalità trascendente che orienta l’agire politico. La tecnica, la burocrazia, il diritto positivo, slegati dalla verità dell’uomo e da Dio, non producono pace. Comportano solo controllo, equilibrio instabile, soppressione del dissenso e illusione di armonia. La lezione di Papa Sarto è perciò eminentemente metafisica: l’ordine della società deriva dall’ordine dell’essere e quest’ultimo non è frutto di una costruzione arbitraria, ma partecipazione alla “ordo sapientiae Dei”.
La pace è possibile, allora, solo nella misura in cui l’uomo si riconosce creatura e non demiurgo, destinatario di un ordine e non suo artefice. Ogni progetto politico che si fondi sulla negazione di questa verità ontologica e teologica è destinato, presto o tardi, a precipitare nel caos. La “Dum Europa” ci richiama, così, al primato dell’Essere, alla centralità del Vero, alla necessità di una ragione illuminata dalla fede e ordinata al bene. Solo a questa condizione l’Europa potrà salvarsi dalla ripetizione della propria tragedia: riconoscere, come principio primo e ultimo, che la pace non si costruisce, ma si riceve, come dono che discende dall’alto, come riflesso umano dell’armonia divina. Solo il ritorno a Dio, principio e fine di ogni ordine, può restituire senso alla storia e coerenza alla civiltà. Tutto il resto è rumore di fondo e preparazione della prossima catastrofe.
Fonte: Avv. Annalaura Napoli Costa e Prof. Daniele Trabucco (Professore stabile in Diritto Costituzionale e Diritto Pubblico Comparato presso la SSML/Istituto di grado universitario “san Domenico” di Roma. Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico nell’Universitá degli Studi di Padova).
Pubblicato in Radio Spada / Fondazione Pascendi ETS
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