La storia della mia conversione al kattolicesimo è nota a quelli che hanno letto il mio libro Come fu che divenni c.c.p. (cattolico credente e praticante), Lindau. Un po’ meno noto è il seguente aneddoto. Dopo una giovinezza piuttosto scioperata in cui inseguivo il mito sessantottino (uno dei tanti) del Cantautore Impegnato e, perciò, indulgevo volentieri alla débâuche, avvenne la folgorazione sulla Damasco Road.
Solo che, a quel punto, non sapevo dove andare. Gli unici cattolici che conoscevo erano uno strano gruppetto che frequentava il mio stesso bar di studenti universitari. Così, timidamente mi aggregai. Ora, si dà il caso che quelli appartenessero tutti a un’associazione chiamata Alleanza Cattolica. Ci misi un po’ a rendermi conto che il cattolicesimo da loro professato era un po’ ai margini, giacché anche il cattolicesimo aveva le sue correnti (e io non lo sapevo). Comunque, fu quello il mio primo impatto e, dunque, la mia formazione primigenia. Che, com’è noto, non ho poi cambiato granché, almeno nelle grandi linee.
Mi fu insegnato a pregare, in latino, e a dire il rosario, sempre in latino. Si pregava, anche, «pro Pontifice nostro Paulo», perché allora regnava Paolo VI. Il quale, in quegli anni, era impegnato a – più o meno inconsapevolmente - mandare in soffitta la lingua sacra. Noi, però, continuavamo imperterriti col nostro rosario in latino, al termine del quale non mancava mai la giaculatoria «Sancte Pie Decime, ora pro nobis».
Eggià, perché in quel torno di tempo lo «spirito del Concilio» cominciava a soppiantare il Concilio stesso, mentre, passo passo, il progressismo faceva quel che fanno i giacobini di ogni tempo: quando c’è una legge che a loro non piace, la attaccano, la criticano, la lavorano ai fianchi, la logorano finché non sono riusciti a sostituirla con una di loro gradimento; quest’ultima, poi, viene difesa coi denti e col singolare argomento che «la legge è sacra e non si tocca», e secchiate di veleno vengono riversate su chiunque osi anche solo obiettare.
Il progressismo cattolico non è altro che il vecchio modernismo che ha cambiato solo il nome, perché l’eresia è rimasta identica a quella contro cui combatteva san Pio X: un demone mutaforma che quel Santo pontefice aveva perfettamente inquadrato nel definirlo «sintesi di tutte le eresie». Mentre scrivo ricorre la festa di Giuseppe Sarto (1835-1914), già vescovo di Mantova, Patriarca di Venezia e infine, contro ogni aspettativa, Papa.
Penso sia inutile, qui, ripercorrerne la biografia, anche perché la si trova facilmente su wikipedia. Mi limiterò a ricordare alcuni dei motivi per cui è così odiato dal giacobinismo clericale odierno.
Uno è il suo catechismo. Piccolo e mnemonico. La Summa di san Tommaso d’Aquino ridotta in pillole e comprensibile anche ai bambini. Per paragonarlo a quello attuale, basterà un aneddoto: lo zar Nicola I esonerò dalla censura i libri di mille pagine; tanto, nessuno li leggeva.
Un altro è la musica sacra: Pio X mise tutto in mano a Lorenzo Perosi, prete e musicista di fama internazionale. E su questo tema non c’è bisogno di aneddoti. Per il resto, gli rubavano i calzini e li imponevano ai malati, che guarivano: quando glielo riferivano diceva che era «il potere delle Chiavi». Se i bene informati gli davano del «santo», lui, precisava: «no, mi chiamo Sarto, con la erre».
Quando l’ideologo Jabotinsky gli ventilò il passaggio (strumentale) dei suoi seguaci al cattolicesimo in cambio di un appoggio al sionismo, declinò gentilmente. Quando ricevette i fidanzati Carlo d’Asburgo e Zita di Borbone-Parma li salutò come «coppia imperiale», in un momento in cui Carlo era solo quarto nella successione a Francesco Giuseppe. I due credettero a una battuta, invece era una profezia. San Pio X morì praticamente di dolore per quell’«inutile strage», la Grande Guerra, che aveva previsto e che si incolpava di non essere riuscito a scongiurare. San Pio X, prega per noi, e soprattutto per la Chiesa.
Fonte: Rino Cammilleri in La Nuova Bussona Quotidiana
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