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L’Ascensione del Signore: il trionfo del cielo sulla storia

Wolfang Eckert Ascension of Christ 8026738 1920Wolfang Eckert, Ascensione di Cristo, 1920

L’Ascensione del Signore, al quarantesimo giorno dalla Risurrezione (nel Vetus Ordo cadeva giovedì 29 maggio 2025), non è soltanto un evento salvifico compreso nel mistero pasquale, ma è il sigillo metafisico e teologico di un’intera economia della salvezza. È il punto culminante dell’incarnazione redentrice in cui l’umano, assunto liberamente dal Verbo, viene definitivamente innalzato alla comunione con Dio in una modalità nuova e gloriosa.


In essa si realizza ciò che la metafisica classica ha da sempre intuito, ma che solo la Rivelazione ha potuto pienamente svelare: che la natura razionale dell’uomo, essenzialmente orientata verso il Principio, trova il suo compimento non in un ritorno circolare all’indistinto, quanto in un’assunzione personale e corporea nella vita trinitaria.


Cristo, ascendendo al cielo con la sua umanità glorificata, introduce nel seno stesso della Trinità l’umanità redenta. La carne non è più separata da Dio, né relegata all’inferiorità metafisica propria di certe concezioni neoplatoniche o gnostiche: essa è resa capace di partecipare alla gloria divina. L’Ascensione mostra, dunque, il destino ultimo della creatura razionale e sensibile: non la dissoluzione nel divino, ma la sua elevazione personale, libera e integra alla vita eterna.


È il superamento dell’antropologia riduzionista della modernità, che concepisce l’uomo come mero ente storico, finito nella sua orizzontalità e che ha smarrito ogni anelito all’alto, ogni desiderio metafisico di eternità. Da questo evento emerge con chiarezza la struttura escatologica della fede cristiana. Non si tratta di una mera proiezione consolatoria verso un aldilà mitico, come pretendono certe letture immanentiste, ma di una tensione ontologica fondata sul realismo dell’Incarnazione e della Redenzione. L’Ascensione è garanzia che il tempo non è un eterno ritorno, ma un cammino orientato, un “itinerarium ad Deum” in cui la storia stessa riceve senso e orientamento.


Il tempo non è più solo successione cronologica, bensì “kairòs”, occasione salvifica, perché già visitato dalla pienezza dell’Eterno. Questo pensiero trova nel magistero di Papa Leone XIII (1878-1903) un’esposizione teologica matura e sistematica. Nell’enciclica “Divinum illud munus” del 1897, egli sottolinea come l’Ascensione costituisca la condizione necessaria per il dono dello Spirito: “Cristo Signore, salito al cielo, affinché rimanesse con la sua Chiesa, volle inviarle il suo Spirito, che guida e vivifica”.


In tale prospettiva, l’Ascensione non è solo un evento conclusivo, bensì l’inizio del tempo della Chiesa, abitata dal Paraclito e insieme un pegno escatologico: la presenza dello Spirito testimonia che il Cristo glorioso già regna e che la Chiesa cammina nella storia verso la piena comunione con Lui. Papa Leone XIII, nel solco della tradizione patristica e scolastica, insiste, in questo modo, sulla finalità soprannaturale della persona umana, che non può esaurirsi nell’ordine naturale essendo chiamata alla visione beatifica.


San Pio X (1903-1914), raccogliendo e sviluppando l’eredità del suo predecessore, nella “Ad diem illum” del 1904, collega più esplicitamente la destinazione celeste dell’uomo alla partecipazione alla vita di Cristo glorificato. In lui si nota un’accentuazione pastorale e spirituale dell’escatologia, sempre però radicata nella dogmatica classica: “Noi siamo figli adottivi di Dio e perciò eredi della gloria celeste. Non siamo fatti per la terra, ma per il cielo”.


È la medesima intuizione di Leone XIII sebbene declinata in modo ancora più diretto e personale ed in funzione di una riforma della vita cristiana che prenda le mosse dalla consapevolezza del fine ultimo dell’uomo. In conclusione, l’Ascensione del Signore mostra come l’intera umanitá sia chiamata non solo alla redenzione, ma alla glorificazione. L’Ascensione di Cristo, allora, è la caparra di questa vocazione soprannaturale, è la risposta divina al desiderio di infinito inscritto nel cuore dell’uomo.


È l’evento che, pur accadendo nel tempo, appartiene già all’eternità. Proprio per questo chiede di essere vissuto come criterio e forma della vita cristiana: una vita che non si ferma alla terra, ma che si lascia attrarre verso l’alto “dove è Cristo, assiso alla destra del Padre” (Col 3,1). Solo così il cristiano potrà essere, nel mondo, segno e strumento di quella realtà ultima che l’Ascensione non solo annuncia, ma già realizza.

 

 

 


Fonte: Daniele Trabucco in Informazione Cattolica

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