Iscrizione al bollettino settimanale

Il Mistero: Dio con noi

Il Mistero: Dio con noiAlle spalle del Vescovo il tabernacolo della chiesa Parrocchiale di RieseNel tramonto del 31 luglio 1903, i cardinali erano entrati nella Cappella Sistina per dar inizio al Conclave; si trattava, dopo la morte di Leone XIII, di dare un successore alla suprema cattedra del mondo.

Tra i cardinali c’era anche il Patriarca di Venezia, Giuseppe Sarto, che neppur sospettava d’essere lui il designato del Signore a reggere la Chiesa. Invece, nei ripetuti scrutini, il suo nome cominciò ad affermarsi.

Il povero cardinale veneto si sentì come annientato; con lacrime agli occhi protestò di non esserne degno e dichiarò apertamente che mai avrebbe accettato la responsabilità e il peso delle Supreme Chiavi. Ma il suo nome, a dispetto della sua profonda umiltà, ormai sormontava il nome nel numero dei voti. La mattina del 3 agosto, alcuni dei più autorevoli porporati cercarono di indurlo a non persistere più oltre nel suo rifiuto.

Visto che la faccenda si faceva insistentemente seria, il Patriarca di Venezia non trovò altro rifugio che presso il Tabernacolo nella Cappella Paolina.

Fu lì che il giovane prelato Mons. Merry del Val, segretario del Conclave, lo dovette rintracciare, per manifestargli la volontà dei Padri porporati. Cediamo il racconto allo stesso Mons. Merry del Val:

“Era circa mezzogiorno quando entrai nella silenziosa ed oscura Cappella. La lampada ardeva di viva luce davanti al SS.mo Sacramento. Scorsi un cardinale inginocchiato sul pavimento di marmo, a breve distanza dall’altare, assorto in profonda preghiera, con la testa tra le mani e con i gomiti appoggiati ad un piccolo banco. Quel cardinale era il cardinale Sarto” (Card. Raffaele Merry del Val, Pio X – Impressioni e ricordi, Padova 1949, pag. 15-17).

Il card. Sarto continuò a ripetere il suo «no», continuò a piangere, continuò a pregare. Sotto voce, Mons. Merry del Val non seppe dirgli altro che: “Eminenza, si faccia coraggio, il Signore l’aiuterà!” (Ibid.).

Quell’Eminenza in lacrime ea lì, davanti all’altare dell’Eucarestia, appunto per trovare coraggio, per implorare aiuto. Da quel Tabernacolo attinse e l’uno e l’altro. La mattina dopo, 4 agosto 1903, pur piangendo, trovò la forza di dire: “Accetto il Pontificato come una croce! Sono disposto a fare la volontà di Dio!” (test. Di mons. Giovanni Bressan, segretario e conclavista dell’Em.mo Sarto, in Processo Apostolico Romano di Pio X, pag. 76).

Io credo che il card. Sarto, quando dagli elettori si vide avviato verso la tiara, luminosa ma pesante, se avesse avuto ancor la mamma vivente (mortagli nove anni prima, nel 1894) ed avesse avuto la possibilità di vederla entro la clausura del Conclave o possibilità di avvicinarla a Riese nella sua casetta umile, non si sarebbe rivolto a lei per aprire il proprio cuore in quell’ora di trepidazione; tra mamma Margherita e l’Ospite del Tabernacolo, avrebbe sicuramente prescelto il Cristo dell’Eucarestia.

Anche una mamma, pur tutta amore, pur illuminata dalla fede, anche un amico, il più intimo, in certe ore gravi della vita dei propri figli o dei propri amici non sanno altro che piangere e soffrire con loro.

Ma c’è un Cuore più grande di mamma, ma c’è un Amico che, in ore tremende ed esigenti una decisione, t’è vicino, e ti sa illuminare e confortare; quell’Amico che vive per questo in mezzo alle case degli uomini nella sua angusta abitazione, che si chiama Tabernacolo.

***

Già un’altra volta, diciannove anni prima, ancora in una Cappella, davanti al Tabernacolo, il Sarto aveva mostrato le sue lacrime e fatto sentire i suoi rifiuti.

Era una mattina del settembre 1884. Come il solito, mons. Giuseppe Sarto, cancelliere vescovile di Treviso, inchiodato al suo tavolo ingombro di libri e di carte, attendeva al lavoro. Il Vescovo mons. Giuseppe Apollonio lo fece chiamare invitandolo nella sua Cappella privata. Il Sarto andò. Pregarono assieme, inginocchiati dinanzi al Tabernacolo. Poi il Vescovo gli consegnò un biglietto pontificio che nominava mons. Giuseppe Sarto Vescovo di Mantova.

Mons. Sarto scoppiò a piangere come un fanciullo e protestò la sua incapacità: “No! … Non posso, non mi sento! Anche questa mi doveva capitare!” (P. Girolamo Dal Gal, Pio X – Il Papa Santo, Firenze 1940, cap. IV, pag. 64-64). Dopo preghiere bagnate di pianto, dal Tabernacolo vennero il coraggio e l’aiuto per la nuova non facile missione.

Altre lacrime attenderanno di bagnare le guance dell’ultrasettantenne Papa Pio X. Fin dal 1911 ai suoi più intimi familiari alluderà con tristezza: “Vedo una grande guerra!”. Al suo cardinale Segretario di Stato svelerà: “Il guerrone s’avvicina! Dio ha posto mano ai più fieri flagelli … La guerra è alle porte; non passerà il 1914”.

Nella paurosa previsione, Papa Sarto ritornerà spesso in una Cappella, la sua Cappella privata, sosterà davanti a un Tabernacolo per versare le sue lacrime e porgere le sue suppliche; non per sé stesso, ma per il mondo.

La previsione tremenda di uccisioni e stragi e odi di fratelli stringerà il Padre di tuti il più visino possibile al Tabernacolo. E vorrà, in questa preghiera scongiurare il flagello – come Gesù nell’orazione del Getsemani – che accanto ai Tabernacoli di tute le chiese si stringano con lui, in lacrime e preghiere, quanti credono nell’Eucarestia.

In data 2 agosto 1914, scriverà una commovente «Esortazione ai cattolici di tutto il mondo» (sarà il suo ultimo atto di Pontefice) per esortare, “mentre l’Europa quasi tutta è trascinata nei vortici di una funestissima guerra”, ad “innalzare gli animi a Colui da cui solo può venirci l’aiuto, a Cristo, principe della pace e mediatore potentissimo degli uomini appresso Dio”.

Spingerà accanto al Dio dei Tabernacoli “i cattolici di tutto il mondo” per un ricorso fiducioso “al suo trono di grazia e di misericordia”, ed esorterà i sacerdoti, custodi dei Tabernacoli, ad indire “nelle rispettive parrocchie … pubbliche preci” (P.G. Dal Gal, op.cit., pag. 278-280).

A diciotto giorni da questo grido d’angoscia invitante a propiziazione, nel cuore della notte del 20 agosto 1914, Pio X consumerà il suo sacrificio, vittima del «guerrone».

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Nelle situazioni più dolorose della vita (la nomina a Vescovo, l’elezione a Pontefice, la previsione della grande guerra) Pio X trovò sempre un punto di riferimento, un appuntamento mai deludente: il Tabernacolo dell’Eucarestia.

Tabernacolo, nell’etimologia latina, significa: piccola casa.

S’è una casa, vuol dire che Uno l’abita: Cristo, cioè Dio con noi, l’Emmanuele. E vi abita, nascosto, apparentemente impotente, silenzioso, nei tabernacoli sfarzosi e preziosi come nei tabernacoli di quattro tavole inchiodate alla meno peggio, in un’umiltà che esige fede (perché, se nel presepio Lo vedo almeno nella sua umanità fragile, se sulla croce Lo contemplo almeno nella sua umanità nuda insanguinata, qui, nell’Eucarestia, spenti gli splendori della divinità, è nascosta anche la fragilità della sua essenza e fattezza umana) – dico – vi abita per essere Eucarestia, cioè, distributore di grazia.

Eucarestia, parola composta dall’avverbio greco eu (=bene) e dal sostantivo greco karis (=grazia, favore), vuol dire che Cristo è grazia eccellente; grazia eccellente nel significato attivo (in quanto per questo augusto mistero possiamo degnamente rendere grazie al Signore, offrendo la vittima eucaristica come il dono più gradito al Padre), grazia eccellente nel significato passivo (in quanto nell’Eucarestia noi constatiamo la benevolenza di Gesù verso di noi).

Se mi commuove il Mistero del Natale (=Cristo bambino, temporaneamente, in mezzo agli uomini), tanto più rinfocola il mio amore il mistero di ogni Tabernacolo (=Cristo eucaristico, continuamente, in mezzo agli uomini).

Ha una casa tra le nostre case. Ogni tetto di città è sormontato da chiese e campanili; stanno a dire che Cristo è con noi. Ogni paese, anche il più sperduto, ha una strada che accompagna ad una chiesa; pur umile, è sempre indice che Cristo è con noi. Anche nella chiesa deserta, silenziosa nella notte, la fiamma rossa della lampada – sentinella d’onore – documenta che Cristo è con noi.

È con noi, deboli, per esserci fortezza nella vita che è ascesa, impegno lotta. È con noi, soli, per esserci amico e confidente quando tutti abbandonano. È con noi, affamati, per essere cibo che nutre e sazia. È con noi, incerti, per condurci verso il traguardo della salvezza.

Il profeta Isaia annunziò l’Emmanuele con l’espressione “Dio con noi” (Is. VII, 14). L’evangelista Matteo riferisce le parole dell’Angelo dell’Annunciazione che suggerisce un nome al Nascituro “Emmanuele, che significa Dio con noi” (Mt, I, 20-24).

Nell’Eucarestia, nascosto in poco pane, Dio è con noi. Se Dio è con noi, noi dobbiamo essere con Lui. Se Egli è presenza eucaristica, noi dobbiamo attuare pietà eucaristica.

Tante volte, invece, il mondo, gli interessi, le vicende ce Lo fanno dimenticare, ed Egli resta il grande Solitario nelle nostre chiese, il paziente Prigioniero dei nostri Tabernacoli. Almeno l’ora del dolore, della decisione, della prova, ci faccia inginocchiare dinanzi al suo Tabernacolo, per esporre all’Amico che ascolta la nostra sofferenza e per riportare da Lui conforto e luce.

***

Ogni santo, come S. Pio X, è sempre stato un’anima orientata verso l’Eucarestia.

Una signorina di Rovigo, che si sentiva spezzare sotto il peso di mille sventure, quasi imprecando contro la Provvidenza, effondeva lamenti e lacrime dinanzi alla Serva di Dio madre Maria Dolores Inglese (+ 1928). Madre Dolores non fece altro che accompagnarla nella sua chiesetta di Via Bagni in Rovigo e mostrarle il Tabernacolo: “Batti là, e te gavaré tutto!” (Bussa lì e avrai tutto)!).

Il motivo di tanta nostra sofferenza, di martoriante solitudine e di non pochi insuccessi, è perché ci dimentichiamo di … bussare a quella porticina, dietro la quale c’è Dio con noi.

Padre Fernando Tonello, cappuccino, in Ignis Ardens gennaio-febbraio 1964

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