Il Signore Gesù, l’autore della vita, ha liberamente accettato di entrare nella morte, poiché è disceso dal cielo per fare non la propria, ma la volontà del Padre. Lo annuncia san Paolo ai romani: “Quando eravamo ancora deboli, nel tempo stabilito Cristo morì per gli empi” (Rm 5,6). Egli condivide la nostra morte, muore come noi, anche se la sua rimane comunque diversa. Noi, infatti, moriamo perché deboli e peccatori. Gesù invece muore per i peccatori, affinché, nonostante il nostro peccato, nessuno vada perduto, come egli promette nel Vangelo di Giovanni: “Questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo resusciti nell’ultimo giorno” (Gv 6,39).
Da quando Gesù è morto ed è risorto per noi, nulla dell’apparenza sembra essere cambiato: continuiamo a nascere, a vivere e a morire come sempre, come i nostri padri hanno già fatto, come i nostri figli faranno a loro volta. Eppure, niente è più come prima: è cambiato il senso della morte ed è cambiato il senso della vita. La morte non è più la grande separazione, non è più il deserto desolato della solitudine senza speranza. Persino la morte diviene incontro, comunione con il Signore che è presente lì, anche lì ci attende e ci accoglie, affinché non siamo perduti.
Gesù è entrato nella sua morte da solo. Tutti lo hanno abbandonato. Anche il Padre sembra farlo, o quanto meno Gesù percepisce e grida il suo abbandono. Tuttavia, da quando Gesù è entrato, da solo, nella solitudine della morte, questa ha cambiato volto: noi non siamo più soli perché persino la morte è da lui abitata, le sue tenebre sono rischiarate dalla sua luce, ed essere gettati nella morte significa ora essere gettati nelle braccia del Signore, che tutti accolgono, custodiscono, fanno risorgere. Allora, la morte inizia a somigliare alla vita.
Quando nasciamo, ci sono braccia umane ad accoglierci: braccia materne, paterne, fraterne. Quando moriamo ci sono le braccia del Signore ad accoglierci e custodirci. In Gesù può diventare nostro il grido di Giobbe: “Io so che il mio redentore è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere! […] Io lo vedrò, io stesso, i miei occhi lo contempleranno e non un altro” (Gb 19,25-27). Io lo so , confessa Giobbe. Io lo so, ripete il salmista: “Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi” (Sal 26[27],13).
La morte è vinta, il diavolo, il grande separatore, è vinto. Sono vinte le sue armi, con le quali tenta di separarci da Dio e di gettare divisione tra di noi. È vinto il sospetto, che tenta di insinuarsi in Giobbe e a cui Giobbe resiste: il sospetto che Dio sia contro di noi. È vinto il peccato, perché il suo potere di separazione è superato da un amore più fedele e più tenace delle sue divisioni; è vinta la morte, perché anch’essa diviene incontro e comunione con il Signore della vita, e in lui comunione tra di noi, al di là della storia, al di là del tempo. Questo è il senso più profondo di ciò che oggi celebriamo: non solo preghiamo per tutti i defunti, ma lo facciamo insieme a loro, condividendo la stessa speranza, la medesima attesa.
Con loro siamo in cammino, in pellegrinaggio verso il Regno dei cieli e la comunione dei santi. Loro sono più avanti, noi più indietro, ma siamo in viaggio sulla stessa strada. Possiamo allora aiutarci e sostenerci a vicenda. Noi preghiamo per loro e chiediamo loro una grazia. Essi, che stanno conoscendo la morte non più come separazione e solitudine, ma come incontro e comunione, ci aiutino, sin da ora, nella nostra vita, nella nostra storia, a vincere il grande nemico, il grande separatore.
Ci aiutino a vincere le sue armi: il sospetto, il peccato, le mormorazioni, i pregiudizi, le visuali limitate e anguste, le recriminazioni, le accuse, le false difese, le ipocrisie, le invidie o le gelosie. Insomma, tutto ciò che divide anziché unire. Tutti coloro che nella morte stanno sperimentando la verità di una comunione più forte della solitudine, ci aiutino a vivere una comunione più forte della solitudine, ci aiutino a vivere una comunione più forte del nostro limite.
Preghiera:
Padre buono, autore della vita, donaci in questo giorno di conoscere più profondamente il tuo volto.
Il peccato e la morte lo sfigurano.
Le lacrime e il dolore per la morte di persone care ci velano gli occhi impedendoci così spesso di vederti e di riconoscerti.
Tu che ti sei rivelato nella morte e nella risurrezione di Gesù, tuo Figlio, accordaci di contemplare in lui il tuo mistero e di giungere a conoscerti davvero per quello che sei, un Dio di amore, di vita, che desideri che nessuno vada perduto, ma trovi in te compimento e gioia.